Monte Quacella (Madonie)

Cresta della Quacella

La Quacella m1869, non è un rilievo semplice da descrivere come unica entità soprattutto per l'estrema diversità di morfologia e vegetazione che presentano i suoi articolati versanti. Grossomodo è una cresta arcuata, allungata nord-sud con un versante concavo, in erosione, rivolto ad occidente e versanti più stabili coperti di boschi ad oriente. Due creste secondarie, parallele tra loro e circa perpendicolari all'arco di cresta della Quacella, si allungano verso oriente. La cresta secondaria più settentrionale culmina nel Monte Daino m1789 che, nonostante il nome autonomo, può essere considerato una spalla della Quacella. Quella più meridionale culmina in un punto quotato m1744. A separarle tra loro è il Vallone Frà Paolo, la via di accesso più razionale alla sommità di Quacella, percorso per intero da un comodo sentiero. A sud della cresta più meridionale si apre invece il "terribile" Vallone Prato, terribile perchè nella parte più bassa presenta una serie di piccoli salti di roccia che lo rendono inagibile per l'escursionismo leggero, ma divertente e interessante per chi è disinvolto con spezzoni di corda e armi naturali (con questa espressione alpinisti e speleologi intendono sistemi per fissare una corda alla roccia senza l'uso di chiodi, spit o fix.) A nord la cresta di Quacella termina con un altro punto quotato dal nome autonomo, il Monte Mufara m1865, che domina da sud il noto polije carsico di Piano Battaglia. La Mufara è da molti anni deturpata da antenne di vario genere, piste da sci che tagliano il bosco e un'ampia sterrata. Vi incombe anche un progetto di funivia che dovrebbe, a dire dei fautori, rivitalizzare il turismo montano (stile anni ottanta del novecento), ma più probabilmente sarebbe solo il colpo di grazia alle finalità di conservazione del parco regionale delle Madonie ad oggi rimaste pressoché inespresse. A sud invece la cresta termina in un ripido e arido versante che incombe sul notissimo Vallone Madonna degli Angeli, quello nei cui pressi sopravvive, nonostante tutto, l'ultimo gruppo di Abies nebrodensis, l'abete siciliano. Quasi l'intero rilievo è costituito da calcari dolomitici, cioè carbonati dove una certa percentuale di Calcio è sostituita dal Magnesio. La roccia che ne risulta ha un aspetto poroso e spugnoso che si sgretola facilmente in brecciolino. Il Monte Quacella prende nome infatti dal siciliano quacedda o quacina che indica il pietrisco dell'impasto cementizio. Il versante occidentale di Quacella, quello concavo ed in erosione, è un teatro naturale di conoidi di deiezione, costituiti da questo materiale. I brecciai ed i ghiaioni di Quacella sono noti per la flora endemica. Le piante dei brecciai delle Madonie costituiscono insieme una classe di associazioni vegetali, la Thalaspietea rotundifolii, ricca di endemiti (piante che occupano areale limitato) . Le pareti di roccia della cresta ospitano una vegetazione tipica delle rupi d'alta quota dell'associazione Asperulo-potentilletum nebrodensis, ricca di casmofite endemiche tra cui l'Asperula gussonei e la Potentilla caulescens subsp. nebrodensis. I versanti settentrionali presentano una discreta continuità di faggeta, ascritta (Raimondo et al., 1980) alla sub-associazione Anthrisco-Fagetum aceretosum, tipica dei suoli calcarei, della sub-alleanza Lamio Fageion, alleanza Geranio versicoloris-Fagion. Le creste laterali peraltro formano versanti esposti a nord, più freschi, su cui la faggeta ha uno sviluppo migliore e si espande anche a quote inferiori. Le radure cacuminali invece ospitano diverse associazioni vegetali dell'alleanza Cerastion Astragalion nebrodensis, anche questa particolarmente ricca di taxa endemici. Il versante esposto a sud, sul Vallone Madonna degli Angeli, presenta una lecceta discontinua che raggiunge eccezionalmente i m1700 di quota.

Tra Scopello e Guidaloca


In estate il Golfo di Castellammare è molto frequentato dai bagnanti, soprattutto nella sua metà occidentale comprendente la costa orientale della penisola di San Vito. Sono frequentate in particolare le piccole spiaggette di ciottoli all'interno della Riserva naturale dello Zingaro e nelle immediate vicinanze. Altri tratti di costa sono meno affollati o addirittura disertati per la non immediata accessibilità del mare. Uno di questi è il tratto di costa tra lo Scoglio Fungia, Cala Alberelli e Cala Bruca ad ovest della spiaggetta di ciottoli di Guidaloca e della appariscente Torre omonima e ad est della Tonnara di Scopello dai caratteristici faraglioni di calcare mesozoico (scopelos in greco da cui il nome della località). Dal punto di vista escursionistico l'area ha un'estensione troppo limitata per essere meta di un'intera giornata, ma è idonea ad una attenta passeggiata naturalistica per gli spunti interessanti riguardanti la geologia del terziario e del quaternario e la vegetazione di sclerofille arboree ed arbustive che si estende a sud di Cala Alberelli. La macchia di piccoli alberi ed arbusti mediterranei si è sviluppata a nord di una bassa falesia, all'interno e all'ombra di un'area sparsa di blocchi calcarei erosi e franati. Le specie più rappresentative di questa vegetazione sono il lentisco (Pistacia lentiscus, l'alaterno (Rhamnus alaternus) ed il Mirto (Myrtus communis). Appariscenti anche i verdi cespugli di Ephedra fragilis, i ciuffi fioriti di Limonium sp. sulle rocce e qualche vigoroso arbusto di leccio (Quercus ilex), la cui sola presenza, a pochi metri dal mare, basta a riassumere il valore naturalistico di questo piccolo frammento di macchia mediterranea assediato da paesaggio antropico. I geobotanici inquadrano questa particolare vegetazione di xerofite (piante che si insediano in luoghi aridi) nell'associazione Myrto-Pistacietum lentisci della classe Quercetea ilicis, poco diffusa lungo la costa settentrionale della Sicilia e più diffusa lungo le coste siracusana e mediterranea. Menzione particolare meritano alcuni cespugli di Vitex agnus-castus, una Verbenaceae dalle foglie palmatosette e caratteristici fiori blu. I blocchi erosi e franati sono calcareniti bioclastiche, conglomerati, areniti e sabbie del Tirreniano, piano del Pleistocene iniziato circa 126.000 anni fa. Il Tirreniano presenta generalmente fossili e frammenti di fossili (bioclasti) di echinidi, coralli e molluschi caratteristici di acque non troppo fredde. Più antiche sono invece le rocce che affiorano nei pressi di Cala Bruca. Si tratta di calcareniti e calciruditi del Pleistocene inferiore (2.58 - 0.78 Ma). Depositi di mare basso coevi a questi sono ben distribuiti lungo la costa orientale della penisola di San Vito tra 0 e 20 metri s.l.m e aiutano a ricostruire le oscillazioni climatiche e la posizione della linea di costa degli ultimi due milioni di anni. Tra i blocchi calcarei alcuni sono evidentemente risultato di un deposito marino costiero o biocostruzioni di molluschi della famiglia dei vermetidi, altri sono conglomerati e arenarie i cui clasti, spesso silicei, sono di chiaro apporto continentale. Tra le calcareniti e i conglomerati di sedimentazione marina si distinguono anche drappeggi e filoni di concrezioni calcaree d'acqua dolce: speleotemi e travertini con impronte di piante erbacee. A nord di quest'area affiorano argille e marne del Miocene (Langhiano - Tortoniano 13.8 - 11.6 Ma) incise dall'alveo di un torrente su cui è insediato un canneto. Ad ovest dello Scoglio Fungia è l'unica spiaggetta di ciottoli di quest'area e qui si trova qualche blocco eroso dei calcari mesozoici della Formazione Caporama: calcari dolomitici datati Trias superiore - Lias inferiore (circa 216 - 189 Ma ).
Alcuni autori localizzano in questo tratto di costa un antico villaggio di pescatori: Cetaria ...
mirto e lentisco



La Tassita di Serra Pumeri

Taxus baccata L.

Il tasso (Taxus baccata L.) è un piccolo albero sempreverde dalle foglie aghiformi e i caratteristici arilli carnosi e rossi che ricoprono parzialmente un unico seme. Diffuso in tutta Europa non è mai dominante, si trova più spesso associato al faggio e all'agrifoglio, più raramente al cerro ed eccezionalmente al leccio, ma solo in prossimità di forre particolarmente umide. L'esigenza principale di questa pianta, e quindi il suo più importante significato ecologico, è proprio l'umidità. Il tasso è considerato testimone di periodi più caldi e più umidi del passato ed è annoverato tra i "relitti del terziario" termine con il quale i botanici indicano quel gruppo di piante che hanno avuto grande diffusione fino a circa 2,5 milioni di anni fa, durante i periodi caldo-umidi dell'era terziaria, e che poi sono sopravvissute alle glaciazioni del Quaternario in località rifugio.

Il tasso è pianta dioica, cioè i fiori femminili e quelli maschili si trovano separati su piante diverse. Questa è una caratteristica condivisa dai taxa vegetali considerati arcaici in ordine alla loro comparsa sulla Terra. Il tasso, ed altre piante sempreverdi come bosso, agrifoglio, edera, pungitopo e alloro sono dette nel complesso laurifille cioè piante le cui foglie hanno caratteristiche simili a quelle dell'alloro. Le laurifille compongono oggi sottobosco delle formazioni forestali caducifoglie europee come querceti e faggete. Nel terziario invece si pensa caratterizzassero i paesaggi vegetali d'Europa. La fascia vegetazionale detta "colchica", il cui nome deriva dalla regione della Colchide dove è diffusa, è quella che ospita il tasso in Sicilia, tra i 1300 e i 1500 metri di quota. ed è caratterizzata da clima umido e fresco con brevi periodi di siccità. In Italia questa fascia è dominata dal faggio (Fagus sylvatica) e in parte dal cerro (Quercus cerris) associato spesso all'agrifoglio (Ilex aquifolium) cui si aggiungono localmente l'abete bianco (Abies alba) ed il tasso. Uno dei luoghi rifugio del tasso in Italia è in Sicilia sulla dorsale dei Monti Nebrodi, in particolare intorno al rilievo arenaceo di Serra Pumeri alto 1544 m. I boschetti di tasso si trovano qui sparsi all'interno della faggeta esposta a settentrione o in radure tra i cerri nei  pressi della cresta. Il tasso è pianta molto longeva e dalla crescita piuttosto lenta, può raggiungere anche i 2000 anni di età. Alcuni esemplari di Serra Pumeri dimostrano età considerevole.

microlepidottero Pterophoridae

Questa foto ritrae una farfalla appartenente alla famiglia di microlepidotteri Pteroforidi (Pterophoridae), hanno le ali divise longitudinalmente in lembi penniformi. Volano al crepuscolo. La foto è stata scattata ad agosto in un querceto della Sicilia occidentale a quota 900 m circa. La pianta sul quale poggia la farfalla appartiene al genere Echinops.

La duna litoranea di Tre Fontane


Tre Fontane, frazione di Campobello di Mazara, è un area urbana costruita nella prima della metà del secolo scorso a ridosso di un importante sistema dunale costiero. Al momento della pianificazione non ci si preoccupò della perdita di valore ambientale di questo allora splendido tratto di costa. Era ancora troppo presto per prevedere che un posto come questo avrebbe potuto costituire in futuro un fortissimo richiamo per il turismo escursionistico, naturalistico e sostenibile. Non si prestò sufficiente attenzione neppure ai meccanismi geomorfologici che determinano l'esistenza delle dune e ne regolano dinamismo ed evoluzione. L'eccessiva prossimità dell'area urbana alla zona dunale comporta infatti che l'accumulo di sabbia coinvolga il principale asse viario litoraneo di Tre Fontane costringendo l'amministrazione a costosi interventi periodici per asportare sabbia dalla carreggiata e dai marciapiede. Alcuni abitanti di qui, per eliminare questa spesa, propongono di eliminare la duna che è un ambiente naturale tutelato e sempre più raro in Italia.
La formazione delle dune costiere è effetto dell'azione del vento che soffia dal mare. Sul mare il vento non incontra ostacoli e giunge sulla spiaggia con sufficiente energia per trasportare sabbia verso l'interno. Dopo pochi metri però la morfologia della costa e la vegetazione fanno si che in vicinanza del suolo il vento abbia minore energia e non sia più in grado di trasportare la sabbia che si deposita lungo una linea più o meno parallela alla costa. La vegetazione  favorisce l'accrescersi della duna attenuando la forza del vento al suolo e favorendo il permanere della sabbia. Una vegetazione peculiare di piante dette psammofile colonizza la duna con associazioni vegetali adatte a caratteri ecologici particolari: aridità ed instabilità del suolo, salinità, azione eolica, carenza di sostanze nutritive, salsedine, alte temperature diurne. Partendo dal mare dopo la zona detta afitotica, in cui nessuna pianta è in grado di sopravvivere, troviamo una fascia di spiaggia mai battuta dalle onde, neppure di tempesta, dove la salinità al suolo diminuisce sensibilmente consentendo l'insediamento dell'associazione pioniera Cakiletum maritimae caratterizzata da poche terofite (piante che superano la stagione avversa sotto forma di seme) succulente come la Cakile maritima e la Salsola soda. Qui a Tre Fontane questa fascia è annualmente spianata da mezzi meccanici per l'installazione delle attrezzature dei lidi. Segue la fascia di antiduna (la parte della spiaggia prossima alla duna) dove si consolida in parte la sabbia ed inizia anche a formarsi il suolo. Qui si insedia una associazione di piante stolonifere con radici a sviluppo orizzontale detta Agropyretum. Ne fanno parte Agropyron junceum, Eryngium maritimum, Cyperus kalli. Segue la fascia delle dune mobili con suolo leggermente più maturo e consolitato. In questa fascia si insedia l'Ammophyletum, associazione di piante cespitose con radici profonde come Ammophyla arenaria, Echinophora spinosa, Othantus maritimus, Medicago marina e Pancratium maritimum. Dietro la duna, al riparo dal vento, si insediano il Crucianelletum e l'Ononido Centauretum con piante come la Centaurea sphaerocephala, l'Ononis ramosissima o la Crucianella maritima, quest'ultima fascia qui a Tre fontane non esiste più perché il suo posto è occupato dalla strada litoranea.
Tra la duna e la linea di costa, su una spiaggia naturale, si riconosce un caratteristico profilo determinato dal mare, dal moto ondoso e dalle maree. Partendo da monte, al di sotto della fascia del cakiletum, si incontra una crestina di sabbia che indica il limite massimo raggiunto dalle onde durante l'ultima mareggiata, questa linea prende il nome di berma di tempesta. E' la linea lungo la quale si trovano solitamente anche conchiglie e oggetti spiaggiati. Segue, procedendo verso mare, la berma ordinaria che segna il limite del moto ondoso ordinario. Quindi segue la battigia, piano inclinato tra alta e bassa marea, interrotto nella parte inferiore da un gradino generato dalla risacca. La fauna che solitamente popola le spiagge e la duna (fauna psammofila) è rappresentata prevalentemente da insetti, l'entomofauna di Tre fontane è fortemente depauperata. Le spiagge e le dune ospitano coleotteri dei generi Cicindela, Pimelia e i rari Scarites; ortotteri come Ochrilidia sicula, Sphingonotus personatus, Acrotylus longipes e Brachytrypes megacephalus; gli imenotteri Bembix mediterranea e Smicromyrme viduata; i lepidotteri Pontia daplidice, Polymmatus icarus, Thymelicus acteon e i bruchi della falena Brithys crini che si nutrono del giglio di spiaggia (Pancratium maritimum). Almeno questi ultimi sono ancora sicuramente presenti sulla duna di Tre Fontane. 
L'ambiente dunale è sempre più raro in Italia soprattutto per l'azione dei concessionari dei lidi che solitamente utilizzano lo spazio proprio delle dune per realizzare parcheggi e infrastrutture e che in caso di erosione della spiaggia, fenomeno attualmente in atto in quasi tutte le spiagge d'Italia, tendono a recuperare tale spazio a monte sottraendolo alla duna.

La Grotta delle Ciavule a Sant'Angelo Muxaro - Agrigento

Il paese di Sant'Angelo Muxaro è costruito alla sommità di un'ampia collina di gesso. Tutto intorno affiora estesamente il gesso in macrocristalli trasparenti che caratterizza i sedimenti siciliani del Miocene superiore (Messiniano) depositatisi tra 7 e 5 milioni di anni fa. E' abbastanza noto che il gesso è precipitato al fondo di bacini sovrassaturi di un Mar Mediterraneo che allora perse temporaneamente il collegamento con l'oceano Atlantico e concentrò le sue acque fino a determinare la precipitazione al fondo dei sali normalmente disciolti in esse. La concentrazione aumentò perché senza l'ingresso di acque atlantiche l'evaporazione non è bilanciata dall'insufficiente apporto di acqua dolce dai fiumi europei ed africani. Quando poi alla fine del Messiniano l'Atlantico tornò ad entrare nel Mediterraneo, le evaporiti, cioè le rocce che si erano formate per evaporazione dell'acqua marina, furono sepolte da marne e argille, sedimenti marini del Pliocene (periodo da 5 a 2,5 milioni di anni fa), e poi coinvolte nei movimenti tettonici che hanno portato all'emersione della Sicilia. Il gesso ha formula Ca SO4 + 2 H2O ed è facilmente solubile in acqua. La sua buona solubilità accelera il processo di dissoluzione carsica (corrosione chimica della roccia) degli affioramenti gessosi che si ritrovano emersi ed esposti alle precipitazione ed allo scorrimento idrico. Il territorio di Sant'angelo è particolarmente ricco di forme carsiche come doline, pozzi, inghiottitoi (punti in cui corsi d'acqua superficiali prendono via sotterranea) valli cieche e trafori (gallerie suborizzontali scavate dal percorso dell'acqua). Un grande Antro-inghiottitoio si trova ai piedi della collina di Sant'Angelo, si chiama Grotta delle Ciavule ed è circondato da terreni coltivati ad ulivo, mandorle e pistacchi. L'antro presenta una grande finestra sulla volta, determinata da un crollo e continua in un condotto attivo (cioè con scorrimento di acqua al suo interno) a sezione variabile e a tratti meandriforme con uno sviluppo di circa un chilometro.

interno dell'Antro
Antro visto dall'esterno
la finestra della volta
strati di gesso in macrocristalli