Rocca Busambra, Bosco della Ficuzza e Cappidderi, Marabito

Cresta ovest di Rocca Busambra
Ficuzza, frazione di Corleone, è un minuscolo centro abitato aggregatosi intorno alla casina di caccia voluta da Ferdinando III di Sicilia nel 1803. La Casina fu costruita a margine di un vasto bosco destinato a riserva reale di caccia. Tutta l'attività del borgo ha luogo intorno allo spiazzo antistante la cosiddetta "reggia". C'è il distaccamento della forestale, un bar, un bar-ristorante, la falegnameria, i magazzini e i garage della forestale, il centro recupero fauna selvatica. Da qui, posto tappa del Sentiero Italia, partono i sentieri per i firriati, i recinti che il re Borbone usava per i ripopolamenti faunistici a scopo venatorio, per l'Alpe Ramusa, per i laghetti Coda di Riccio del Vallone Rocca d'elice e per la sede della ex ferrovia a scartamento ridotto. Domina la frazione l'imponente parete nord della Rocca Busambra, m 1612, il rilievo isolato più alto della Sicilia occidentale il cui versante settentrionale è caratterizzato da pareti calcaree verticali della Formazione Inici - Lias inf, a tratti strapiombanti, alte circa 350 metri sul bosco. Il versante meridionale è molto ripido, ma non a strapiombo. Le vie d'accesso alla cima più usate dagli escursionisti sono due: da Piano della Tramontana ad est e dalla Ciacca di Bifarera ad ovest. Il piano della Tramontana è raggiungibile attraverso due vie poco distanti: la cosiddetta Scala Ciurinu un piccolo sentiero a serpentina nel bosco e la Scala Grandi,, un tempo una mulattiera comoda, oggi una sterrata forestale. In siciliano il toponimo scala o scaletta indica un sentiero che supera rapidamente un dislivello. Una volta raggiunto il Piano della Tramontana si prosegue parallelamente alla parete nord su sentiero a tratti poco evidente fino alla cima. La Ciacca di Bifarera (o sciacca) propriamente detta, è una profonda spaccatura beante parallela alla parete nord di Rocca Busambra, usata nel passato dalla mafia per fare sparire i cadaveri delle sue vittime. Con lo stesso nome comunemente si indica anche la valle tettonica, accessibile e percorsa da sentiero, che separa la parete di Busambra dalla Rocca Ramusa, m1286. Una volta raggiunta la sella tra Ramusa e Busambra, uno stretto sentiero assediato da macchia di rosacee spinose piega a sud a raggiungere le creste di Busambra. Da qui, per un percorso tra pascoli aridi e steppe, accidentato, sassoso e privo di sentiero evidente, si può raggiungere la vetta. L'ultimo tratto è estremamente ripido. La Rocca Ramusa è un torrione isolato nella parte occidentale di Busambra e del Bosco della Ficuzza, è difficilmente accessibile per i suoi versanti verticali e sub verticali, ma esiste un percorso agevole ad anello che ne compie il periplo. Nel piano inclinato sommitale crescono fitti e numerosi lecci che a causa dell'esiguità del suolo si mantengono arbustiformi o addirittura cespugliosi, da cui il nome dialettale di ramusa. Il nome ottocentesco, deducibile dalla cartografia borbonica, era Pizzuoccolo, tutt'ora usato dai pastori anziani. Poi è divenuto Pizzo della Campana e oggi Rocca Ramusa. Nei pressi della cima di Rocca Busambra, protetti all'interno di ampie fratture, crescono sparuti aceri. La parete nord è ombrosa ed umida e sulle sue cenge irraggiungibili si conserva flora rupestre endemica (endemico = il cui areale è limitato) tra cui l'Armeria gussonei. A nord delle pareti calcaree si sviluppa il Bosco della Ficuzza, uno dei più continui della Sicilia occidentale. Il toponimo medioevale che designava l'intera divisa amministrativa era Bufarera, parola rimasta nel dialetto siciliano ad indicare una varietà di fichi. Il nome busambra è di origine araba e significa oscuro, toponimo che tradotto in nigrum e poi nivuru in siciliano è rimasto ad indicare il rilievo boscoso di m 1112 alla base della parete nord nei pressi della Ciacca di Bifarera. All'estremo ovest del rilievo è il Pizzo Nicolosi m 937, raggiungibile facilmente dalla SS118 per Corleone, sul cui altopiano è facile rinvenire ceramica e ruderi di un insediamento medioevale. A nord di Pizzo Nicolosi si trovano le sorgenti del Fiume Frattina o Belice Sinistro. Sono sorgenti perenni e nonostante un disastroso intervento per captarne le acque, esiste ancora un ambiente straordinario in cui, in una successione di pozze fluviali e marmitte, vivono granchi, pesci, natrici, tartarughe palustri e una lussureggiante vegetazione ripariale ed acquatica.
Dal borgo di Ficuzza parte un sentiero per la Fonte Ramusa da cui è facile proseguire per Pizzo Nero, il punto boscoso di quota m 1112, oppure per la Ciacca di Bifarera. Dal Piano Pilato, altopiano ad ovest di Rocca Busambra, si può proseguire vrso occidente, su sterrata e poi sentiero, fino a Pizzo Nicolosi. Il rilievo di Busambra, ad oriente della cima, continua con una dorsale arrotondata e erbosa con quote intorno ai 1200 metri. A chiudere ad est il Piano di Tramontana è la Portella del Vento m 1120, caratterizzata da affioramenti di calcari pelagici del Cretaceo di colore bianco e rosso. Dalla portella seguono, procedendo verso oriente, il Pizzo di Casa m 1211 e il Pizzo Marabito m 1178, nel territorio di Mezzojuso. Il rilievo poi, si stempera con il morbido (argilloso) Pizzo di Mezzaluna m932, nelle Campagne di Campofelice di Fitalia. Il territorio intorno al Pizzo di Casa è conosciuto dai locali come Marabito, toponimo derivato dal termine arabo murabit che significa: “colui che predica l'Islam nella via”. Il termine è anche entrato nel dialetto siciliano: murabitu, nel significato di morigerato. Il Pizzo di Casa ed il Pizzo Marabito sono rilievi di compatti calcari dolomitizzati del Triassico superiore (Norico-Retico) sormontati da formazioni pelagiche giurassiche e cretaciche alcune delle quali presentano spettacolari pieghe tettoniche. I rilievi sono circondati da pascoli montani, dalla parte orientale del bosco di Bifarera e dal castagneto di Mezzojuso.
Pizzo di Casa, Calcilutiti stratificate e piegate
Formazione Amerillo Creta sup.-Eocene
A nord del Pizzo di Casa si estende la Valle Cerasa, luogo che oltre a conservare tracce di una fiorente attività rurale, con mulini, recinti e casali diruti, offre elementi di eccezionale naturalità, mosaico di boschi, radure e anfratti di roccia arenaria frequentato da fauna rara ed esigente. La parte del bosco che si sviluppa a nord del Piano di Tramontana e del Pizzo di Casa offre un paesaggio particolarmente suggestivo. Valli e colline sono infatti accidentate da creste aguzze di arenaria parallele tra loro ed emergenti dal bosco. Pizzo Morabito è luogo di leggende che riguardano tesori (truvature) argutamente custoditi da demoni all'interno di grotte rese invisibili o inaccessibili con la magia. Le leggende prendono probabilmente spunto dai resti sul posto di un piccolo insediamento medioevale abbandonato. Il Bosco della Ficuzza, cresce su rilievi arcosici (arenaria con quarzo ed altri minerali) coperti di bosco più o meno fitto, con ampie radure ed arbusteti che si estendono a nord delle pareti carbonatiche di Rocca Busambra. Punti notevoli del bosco sono il Pulpito del re m864, il Pizzo Castrateria m927 e il Cozzo Fanuso m1069. il bosco è un querceto misto termofilo a predominanza di querce caducifoglie accompagnate da lecci e sughere e rimboschimenti di pino e orniello. Il Pulpito del re è un trono scolpito sulla roccia arenaria che il re borbone Ferdinando IV usava per cacciare stando seduto aspettando che i battitori facessero arrivare a lui gli animali. I laghetti Coda di riccio sono due invasi artificiali realizzati sbarrando il Torrente Rocca d'Elice. Intorno ai laghetti si è sviluppata una interessante vegetazione ripariale di Tipha. Vi trovano rifugio le tartarughe palustri, numerosi anfibi e uccelli: ardeidi, anatidi, podicipedidi ecc. Il Bosco dei Cappidderi è la porzione di bosco più settentrionale, arriva fino alle campagne di Marineo. Oggi è noto con il nome italianizzato di “Bosco del Cappelliere”, ma ancora in letteratura scientifica ottocentesca il nome d'uso è quello siciliano. L'origine del nome è incerto. Nel dialetto siciliano, il termine “cappidderi” compare tra i sinonimi del termine “attaccabarracchi" insieme a “liticusu” e “sciarrinu”. Traducibilie quindi come “attaccabrighe, litigioso”. se inteso come aggettivo, Cappidderi potrebbe essere diventato il nome di un'area boschiva per qualche suo aspetto ostico oppure per la litigiosità dei suoi frequentatori. Un'altra ipotesi, forse più improbabile delle due precedenti è che il nome derivi dai cespugli di Marruca, il Paliurus spina-christi Mill., arbusto spinoso appartenente alla famiglia delle Rhamnaceae, che produce un caratteristico frutto a forma di cappellino. Chissà che non siano proprio loro i “cappiddari”, “cappellai” e “cappellieri” del bosco. Michele Amari, l'autore della “Storia dei Musulmani di Sicilia” in “l'Italia descritta” ritiene che il Bosco del Cappidderi corrisponda al Monte Zurarah di cui riferisce il geografo arabo Idrisi nella sua un famosa opera: “per il sollazzo di chi si diletta di girare il mondo“. Idrisi indica il Monte Zurarah come luogo delle sorgenti del Torrente Amendola, che prende a scorrere proprio nei dintorni di Godrano.
Cresta di Busambra Sopra Pizzo Nero
L'aspetto attuale del bosco è il risultato della interazione permanente tra fattori ambientali e disturbi antropici. In condizioni naturali avremmo una prevalente copertura boschiva di sughera (Quercus suber), leccio (Quercus ilex), querce caducifoglie del ciclo della roverella (Quercus pubescens s.l.), e cerro (Quercus cerris e Q. gussonei). In realtà il pascolo e il taglio periodico mantengono piuttosto rado lo strato arboreo e la luce favorisce lo sviluppo di leguminose e rosacee spinose (ecc.) piante che bene affrontano il morso degli erbivori pascolanti. I cespuglieti sono caratterizzati quindi dai generi Calicotome, Pyrus, Prunus, Spartium, Erica e Rosa. Il grande numero di animali pascolanti favorisce le piante nitrofile come le Asteraceae spinose dei generi Sylibum, Carduus e Cirsium e le Liliaceae Asphodelus e Asphodeline. I rimboschimenti operati a partire dagli anni cinquanta hanno sostituito parte delle essenze arboree spontanee con pini (Pinus pinea e Pinus halepensis), eucalipti (soprattutto Eucaliptus camaldulensis), frassini (Fraxinus hornus e F. excelsa), e castagni (Castanea sativa). Altre specie aboree che si incontrano spesso sono l'acero (Acer campestris), il perastro, il melo selvatico, il nespolo d’inverno (Mespilus germanica). Costituiscono sottobosco invece il biancospino (Crataegus sp.), il pungitopo, il Citisus, il ciclamino, la vitalba, l'asparago, il caprifoglio, ecc. Nelle zone umide si incontrano salici, saliconi, pioppi, olmi, fichi, sambuco, equiseto, canne e tifa. Gli invasi d'acqua, ospitano ranuncoli acquatici (Ranunculus spp) e Potamogeton. Il paesaggio è di alte colline boscose, radure erbose e rocce di arenaria. L'arenaria che si incontra tende localmente a conglomerato o grovacca, con i tipici granuli centimetrici di quarzo amorfo, biancastri. Le rocce si presentano spesso suggestivamente modellate dal vento con i caratteristici tafòni, forme incave rotondeggianti dovute all'erosione eolica. Il colore di queste rocce va dal giallo chiaro al marrone scuro, nella tipica colorazione della ruggine dovuta alla presenza, in questi sedimenti, di ossidi di ferro. Sono rocce oligoceniche (depositatesi 34-23 milioni di anni fa) risultato dello smantellamento e rideposizione di antiche rocce ignee. Il paesaggio accidentato e le quote tra i 500 e gli 850 metri costituiscono insieme la vera ragione che ha salvato il bosco ancor prima che divenisse riserva reale di caccia di Ferdinando IV di Borbone. Mentre tutto intorno le morbide colline argillose venivano via via disboscate e coltivate questi rilievi arenacei, inidonei all'agricoltura, furono piuttosto destinati alla produzione di legna e selvaggina. Il bosco dei Cappidderi è inciso dal Vallone Arcera, un torrente che scorre verso nord e separa i rilievi che caratterizzano questa parte del bosco: Torre del bosco m957 e Cozzo Mirìo m705 ad oriente Cozzo Lupo e Cipuddazzu m732 ad occidente. Il Vallone Arcera, ospita alcune specie di felce tra cui l'Osmunda regalis, che a volte presenta un vero e proprio fusto basale, e la Phyllitis scolopendrium o felce a lingua. Entrambe prediligono costanza di umidità, ma la P. scolopendrium cresce nei luoghi più bui e umidi del vallone. Per quanto riguarda l'avifauna rapace è possibile avvistare l’aquila reale, l’aquila del Bonelli, il nibbio bruno e il nibbio reale, il falco lanario (presente solo in Sicilia con 100 coppie), il falco pellegrino, il falco grillaio. Molto raro ed episodico il piccolo avvoltoio migratore capovaccaio (Neophron percnopterus). Fra gli uccelli di bosco oltre a scriccioli, cinciallegre, cinciarelle, pettirossi, merli, cardellini, rampichini, capinere, tortore e colombacci, sono presenti la ghiandaia, il picchio rosso maggiore, il picchio muratore, lo storno nero e la coturnice nella forma endemica “whitakeri”. D’inverno ci sono anche fringuelli, pispole e beccacce. Fra i mammiferi predatori ricordiamo la martora, il gatto selvatico, l’istrice, la volpe e la donnola; fra gli insettivori il riccio. Per completezza citiamo anche gli altri mammiferi: il coniglio selvatico, il ghiro e il topo quercino, detto in dialetto siciliano “surci giacaluni”.
Ciacca di Bifarera
Fra i rettili abbiamo la tartaruga palustre al Gorgo Lungo e nei Laghetti Coda di Riccio, la lucertola campestre e la lucertola siciliana, il ramarro, il gongilo, il biacco, il colubro liscio e la vipera; mentre fra gli anfibi è presente, il discoglosso, la raganella, il rospo smeraldino ed il rospo comune. Quest'ultimo è frequente vittima delle auto in transito sulla statale 113 nel tratto lungo il Lago Scanzano, l'invaso artificiale adiacente al bosco. Gli entomologi hanno qui istituito alcune specie di insetti, come il Megathous ficuzzensis, un Elateridae. In questo bosco è stato ucciso, nel 1935, uno degli ultimi lupi della Sicilia. ...periodicamente i battitori si spargevano per tutto il bosco a battere cucchiai di legno su vecchie pentole e padelle. A cavallo e a piedi altri uomini con la lupara compivano strage dei lupi. C’era un premio in denaro per chi portasse in piazza i corpi di questi animali sociali, rei di condividere con l’uomo alcune risorse alimentari...
Frammenti della carta AAPIT Palermo 2002