Clypeaster del Burdigaliano

Clypeaster sp.
Il tratto di costa tra Tonnara Bonagìa (Valderice) e Custonaci, a dispetto della straordinaria bellezza del paesaggio complessivo tra il Monte Cofano e la Montagna di Erice, è uno dei più rovinati del trapanese. Un'operazione di risanamento per il turismo sostenibile avrebbe, a mio avviso, dovuto prevedere il ripristino della vegetazione spontanea mediterranea, l'eliminazione o riqualificazione di qualche segheria di marmo in disuso o altre strutture dismesse ed un sentiero costiero pedonale. Invece si sta procedendo nella costruzione di un ampio marciapiede lastricato livellando con sfabbricidi e residui della lavorazione della "pietra di Custonaci. Ci dispiace molto, ma in questa sede, che si diletta di scienze naturali ci interessa scrivere della roccia che è stata usata per pavimentare il lungomare, una arenaria miocenica cavata a poca distanza con una colorazione che alterna aree grigio-bluastre ad aree bruno-giallastre, laminazione incrociata ed evidenti macrofossili di lamellibranchi (molluschi con conchiglie bivalve), gasteropodi (molluschi), denti di pesci, briozoi (invertebrati coloniali marini), rodoficee (alghe calcaree) ed echinodermi (ricci di mare). Questi ultimi appaiono particolarmente appariscenti, sono di colore chiaro e spiccano sul grigio scuro della calcarenite. E' possibile osservarne diverse sezioni. La teca è molto spessa, la sezione laterale ha base piatta e parte superiore a campana, si riconosce la disposizione a forma di petalo dei fori per i pedicelli ambulacrali. Queste caratteristiche consentono di attribuirli facilmente al genere Clypeaster (Ordine Clypeasteroida, famiglia Clypeasteridae).
Questi ricci vissero nel Miocene su un sedimento sabbioso che setacciavano per nutrirsi, come ancora fanno i loro stretti parenti viventi. La roccia arenaria che li contiene fu descritta per la prima volta da Baldacci, nel 1886, su un affioramento nei pressi di  Trapani alla Base della Montagna di Erice. Baldacci gli diede il nome evocativo di "Mischio". Tecnicamente è una calcarenite a litotamni, echinidi e rodoliti datata, con riserva e tramite lo studio dei foraminiferi, al Burdigaliano, un piano del Miocene, cioè tra 20 e 16 milioni di anni fa. In zona il "Mischio" si trova con spessori massimi di 30 metri che ricoprono in discordanza diverse rocce mesozoiche.

Le radiolariti di Monte Cicìo (Altavilla Milicia, Pa)

radiolariti
Radiolariti
 Ci eravamo riproposti di camminare sul fondo dell'oceano, senza spostarci di tanti chilometri da Palermo. Per noi questa affermazione è meno ambigua di quanto si pensi, volevamo camminare su rocce formatesi su fondali profondi. Bastava qualche piccolo frammento di basalto sottomarino della Tetide, l'oceano che separava l'Africa dall'Europa, magari sormontato da sedimenti pelagici abissali e avremmo potuto ritenerci soddisfatti. Nelle note illustrative a compendio della carta geologica dell'ISPRA, foglio 595 Palermo, troviamo un riferimento a radiolariti a contatto con lave a cuscino dalle parti di Monte Cicìo, nei pressi del paese di Altavilla, sul torrente Milicia. Dovremmo esserci vicini. Le radiolariti, infatti, rocce costituite da selce in strati centimetrici, sono considerate indicatrici di grande profondità marina perché nel mare esiste una superficie fisica: la profondità di compensazione dei carbonati, al di sotto della quale i gusci calcarei, di organismi planctonici come foraminiferi è coccolitoforidi, vanno in soluzione lasciando proseguire la discesa fino al fondo solo agli scheletri di opale amorfa dei radiolari (o delle diatomee). Questa superficie, abbreviata in CCD, si attesta negli oceani attuali tra 4200 e 5000 metri di profondità per cui la profondità del nostro paleofondale non dovrebbe essere inferiore ai 4200 metri. I basalti a cuscini o "lave a pillow" sono rocce tipiche delle effusioni laviche sottomarine, a prescindere da quanto profonde. Partiamo per Altavilla Milicia, paese costiero noto agli appassionati di storia naturale per gli splendidi fossili di lamellibranchi pleistocenici nelle arenarie su cui è costruito. Saliamo a Cozzo Cicìo, a 260 metri di quota, dove sono segnalate sulla carta geologica le radiolariti. In quel punto gli strati di selce si alternano con strati argillosi e includono una grossa lente di megabreccia calcarea. Non troviamo subito il contatto con i basalti del fondale oceanico e iniziamo a salire verso il monte Cicìo. L'intero versante sono ancora radiolariti, ma gli strati sono verticalizzati per cui salendo per il versante non ci spostiamo di tanto nel tempo quanto nello spazio.
Basalti sottomarini
A circa 400 metri di quota finalmente troviamo i basalti, nei pressi di un grosso e compatto roccione di selce non stratificato. I basalti sono molto alterati, di consistenza terrosa e colore bruno giallastro. Salendo ancora alcuni tagli della sterrata forestale offrono spettacolari stratificazioni di radiolariti verticalizzate dalla tettonica con adiacenti calcari  e marne giallo-verdi che a qualche metro dal contatto con le radiolariti assumono colorazione rossa. La roccia è stata datata dai geologi al Giurassico inferiore.

Cronache garganiche

Bosco di Ischitella
Bosco di Ischitella: letto di un torrente
dopo la piena
Alla fine dell'estate del 2014, sui versanti settentrionali dell'altopiano del Gargano che dominano le grandi lagune costiere Varano e Lesina, si verificò un evento meteorologico eccezionale. Piogge abbondanti, intense e insistenti portarono alla riattivazione di impluvi e letti asciutti, piccoli e grandi, alcuni dei quali, a memoria degli anziani locali, mai erano stati visti in piena. L'acqua in poco tempo ha risolcato i letti eliminando la vegetazione che vi cresceva, ha scavato profonde trincee tra i sedimenti, ha esondato dentro gli uliveti secolari formando un nuovo strato di detriti e trasportato alle lagune costiere una grande quantità di sedimenti. L'evento è stato straordinario se osservato nella scala del tempo umano. E' considerato eccezionale un evento che nell'arco della vita di un uomo può verificarsi, in questa intensità, una sola volta. Se osserviamo, però, lo spesso pacco di alluvioni sovrapposte dentro cui gli uliveti secolari affondano le radici, si comprende che, in scala adeguata è un evento periodico tutt'altro che raro ed è quello che determina e spiega il paesaggio costiero del Gargano. Tutta l'ampia area pianeggiante coperta di ulivi, che dalle pendici delle montagne calcaree termina a nord nelle lagune, è costituita infatti dalle alluvioni trasportate a valle da eventi simili a questo. Qualcuno adesso ricorda, seppur vagamente, del nonno che a volte parlava di una alluvione come questa di circa sessant'anni più vecchia, ma per chi è abituato a leggere nei sedimenti (alluvioni) sezionati dallo scavare dei torrenti, le piene degli ultimi cinquecento anni sono registrate in quelle strie di ciottoli grandi e piccoli classati dal variare dell'intensità delle correnti, dalla competenza dei corsi d'acqua, violenti ed effimeri, che li ha trasportati in occasione di eventi simili a quello del nostro tempo. Se osserviamo il fenomeno geomorfologico con una adeguata scala di tempo vediamo che esso è lento e graduale, senza strappi, senza salti, per quanto intensi possano essere i nubifragi che ne sono motore. A proposito della rapidità di trasformazioni e della velocità nel cambiamento, decenni or sono vi fu un dibattito "letterario" tra il paleontologo J. Gould ed il biologo R. Dawkins. Qui per letterario intendo che i due non credo si siano siano mai incontrati per discutere e hanno scritto a decenni di distanza l'uno dall'altro, ma il primo, il paleontologo, ha proposto una eccezione al lento gradualismo senza salti o variazioni di velocità prevista dalla teoria sintetica dell'evoluzione biologica. Egli notò infatti che dalla documentazione fossile si evincono stasi lunghissime e fortissime accelerazioni evolutive ed elaborò la teoria degli equilibri punteggiati. Il biologo Dawkins fece notare però che la tesi di Gould non riusciva comunque a scalfire il gradualismo previsto dalla teoria sintetica perché le variazioni genetiche negli organismi viventi, quelle che portano alla speciazione, cioè la formazione di nuove specie, sono e restano molto lente. E' sulla percezione del tempo registrato nella documentazione fossile che ci si perde perchè le "accelerazioni" di Gould, negli equilibri punteggiati, sono tanto lente che c'è tutto il tempo perchè l'evoluzione lavori gradualmente così come previsto dalla teoria sintetica. Ancora per questa volta sembra potersi confermare che catastrofe e diluvio cedono il passo a più mite e rassicurante, gradualistico processo.
Rhizostoma pulmo, Macri, 1778
Non c'entra molto con il resto, ma nelle acque del Lago di Varano, l'ampia laguna salata dove qualche giorno prima si accumulavano i detriti trasportati dai rapidi torrenti in piena, abbiamo incontrato qualche bianca medusa della specie Rhizostoma pulmo, abbondante nel mare Adriatico.

Passeggiata tra crosta e mantello


Tabellone del sentiero geologico a
 Vogogna in Val d'Ossola
Molti conoscono il romanzo di fantascienza Viaggio al centro della Terra (Jules Verne, 1864) in cui i protagonisti riescono a raggiungere il nucleo terrestre attraverso il camino di un vulcano islandese. E' passato molto tempo da quando il libro fu scritto, ma nonostante i nostri accresciuti magici poteri non riusciamo ancora a scendere nel sottosuolo per più di una dozzina di chilometri (che a pensarci non è già impresa da poco). Se non possiamo andare oltre, tuttavia, non è detto che nulla possiamo conoscere dell'interno del nostro pianeta, anzi, già 45 anni più tardi, nel 1909, il geofisico croato Andrija Mohorovičić, tramite lo studio delle onde sismiche, scoprirà che esiste, a circa 40 km di profondità, una superficie di discontinuità fisica che separa il mantello dalla crosta terrestre, la Discontinuità di Mohorovičić abbreviata in "Moho". Se la cosa vi incuriosisse abbastanza e voleste andare a vedere da più vicino questa superficie, potreste farlo senza bisogno di scavare un pozzo profondo quaranta chilometri e senza attraversare il camino infuocato dell'Etna. E' molto più efficace allo scopo, e anche di grande soddisfazione, una passeggiata su un comodo sentiero geologico, ben tracciato e ricco di tabelle esplicative, che parte dall'abitato di Vogogna, paese ai piedi di alte montagne dai ripidissimi versanti, nella stupenda Valle Ossola e nel Parco della Val Grande. Il grande interesse geologico per l'area è motivato dall'affioramento di rocce con caratteristiche che rivelano la loro genesi alle profondità di circa 35-50 km, nella crosta continentale profonda, prossima al mantello. Eccoci così arrivati in carne ed ossa li dove Jules Verne solo immaginò di passare per continuare fino al nucleo. Agli appassionati di storie geologiche consiglio, a proposito, la lettura di un testo divulgativo di Richard Fortey dal titolo "Terra, una storia intima". Ad un certo punto egli scrive che "i minerali non mentono mai; ci dicono esattamente le condizioni di temperatura e pressione a cui le rocce sono state sottoposte ...". Questo principio, che sta alla base della ricerca petrografica, rende possibile il nostro viaggio fino alla Moho, perché riconoscendo minerali o associazioni di minerali che si formano a ben precise condizioni di temperatura e pressione, possiamo stabilire a quale profondità si trovava la roccia al momento della sua formazione o al momento della sua metamorfosi. Con lo stesso principio sapremo di essere arrivati alla Moho non appena riconosceremo le rocce ultrabasiche (con basso contenuto in silice, meno del 45%) che caratterizzano il mantello. Lungo il nostro sentiero incontriamo rocce metamorfiche, cioè rocce di varia origine e storia che hanno subito ulteriori importanti trasformazioni a causa delle elevate pressioni e temperature dell'ambiente in cui sono state trascinate dalla tettonica. Il viaggio verso la Moho, inizia attraversando rocce dette "filloniti" o "miloniti di aspetto filladico", sono gli "Scisti di Fobello e Rimella", sottilmente laminati con lamine di minuti cristalli di quarzo e di mica che si sono formati per metamorfismo di micascistigneiss occhiadini, preesistenti, strizzati in area di grande faglie. La grande faglia infatti la incontriamo subito dopo, procedendo lungo il sentiero, ed è una delle più studiate d'Italia. Si estende per tutto l'arco alpino da est ad ovest, assume localmente diversi nomi tra cui quello più noto è Linea Insubrica, ma qui in Piemonte è conosciuta come Linea del Canavese. Le rocce che si trovano a nord di questa linea sono considerate appartenenti al paleo continente europeo, quelle che si trovano a sud della stessa sono ancora rocce crostali, ma appartenenti al paleo-continente africano. Siamo lungo il fronte di scontro tra continenti che è alla base dell'orogenesi alpina, il grandioso e complicatissimo processo deformativo che ha portato in affioramento rocce che in origine erano profonde 30-50 km dalla superficie e che ci consente adesso di "vedere" la Moho e piccole porzioni superficiali del mantello terrestre, alla luce del sole. L'area a sud della Linea del Canavese, è stata denominata dai geologi "Zona Ivreo-Verbano" e la roccia metamorfica "africana" che qui incontriamo a sud della grande faglia, si chiama granulite mafica.
Granulite mafica
La granulite è una roccia metamorfica di alto grado, che si forma nella crosta inferiore a temperature superiori a 700°C e pressioni intorno a 5-15 kb. E' costituita da minerali chiari, i feldspati (plagioclasio e feldspato alcalino pertitico), caratterizzati da silicio e alluminio (sialici), e da minerali scuri, femici (con ferro e magnesio), come granato (pyralspite), ortopirosseno (ricco in Al) e clinopirosseno (diopside). Nel nostro caso abbiamo una granulite mafica, cioè particolarmente ricca di minerali contenenti magnesio e ferro e i cristalli scuri superano il 30% di tutti i cristalli, mentre con una percentuale inferiore si sarebbe chiamata granulite sialica. Alla base di queste rocce, sempre continuando il sentiero, si incontra un'altra linea di discontinuità che separa le granuliti mafiche della crosta profonda "africana" dalle peridotitiserpentiniti di pertinenza del mantello.
Cristalli di Granato nelle Granuliti
Questa superficie, qui deformata ed esposta, ma che un tempo si trovava a circa 40 chilometri di profondità, può essere considerata la discontinuità di Mohorovičić: siamo arrivati. Le peridotiti sono rocce ultrabasiche contenenti olivina (un nesosilicato tipico di rocce povere in silice) almeno per il 40% di tutti i cristalli e poi ortopirosseno e clinopirosseno in percentuali variabili. Nel nostro caso, poiché la percentuale di ortopirosseno supera il 95% di tutti i pirosseni presenti (c'è quindi solo 5% di clinopirosseno), la roccia prende il nome di hartzburgite.
Serpentinite
Le peridotiti si formano nella parte superiore del mantello e spesso vanno incontro al processo metamorfico di serpentinizzazione che comporta la trasformazione dei cristalli di olivina e di pirosseno in minerali del gruppo dei serpentini. I "serpentini" sono i silicati lizardite, crisotilo e antigorite. Altro cristallo che si forma con il processo di serpentinizzazione è la magnetite, il minerale più ricco in ferro (72,5%) esistente in natura che spesso fa assumere alla roccia il colore della ruggine.
La serpentinite, che qui è possibile osservare, è una roccia derivata dal metamorfismo con forte idratazione di una precedente peridotite. Finisce il sentiero geologico e per adesso il nostro breve viaggio verso il centro della Terra ( a questo collegamento trovate la mappa del percorso). Per proseguire verso il nucleo... per adesso, occorre tornare a consultare le onde sismiche.

Marettimo


Osservando le isole Egadi dalle cime dei rilievi dello Zingaro, provincia settentrionale di Trapani, si nota un certo allineamento tra il Monte Cofano, il monte Erice, in Sicilia, e le isole di Levanzo e Marettimo. Basterebbe che il livello del mare si abbassasse di un centinaio di metri per collegare in un unica catena le isole e i due monti. Marettimo sembra sia divenuta isola circa 600.000 anni fa, mentre Levanzo e Favignana dovrebbero averlo fatto molto dopo, nel 6.000 a.C. Nel paleolitico, un gruppo di uomini lasciò incisioni rupestri all'interno di una grotta alla base di un piccolo rilievo costiero. Quel rilievo soltanto dopo sarebbe diventato l'isola di Levanzo e la grotta avrebbe preso il nome di "Grotta del Genovese". Il livello del mare deve però aver raggiunto, nel Pleistocene, un livello maggiore dell'attuale. Lo testimoniano le calcareniti di Favignana, intensamente cavate in passato per ricavarne conci da costruzione, e i depositi costieri coevi che si ritrovano anche nelle altre isole dell'arcipelago oltre a qualche evidente solco del battente una decina di metri al di sopra dell'attuale livello del mare visibile sulle pareti a picco della costa occidentale di Marettimo. Interessante è la visita sporadica lungo le coste di Marettimo, della foca monaca, mammifero che potrebbe tornare a popolare l'arcipelago con una diversa gestione delle risorse del mare. Un ristretto, ma interessante contingente di flora endemica, caratterizza soprattutto l'isola di Marettimo. Il prolungato isolamento dalla Sicilia ha favorito il conservarsi di alcuni paleoendemismi botanici come il Bupleurum_dianthifolium e la Pseudoscabiosa limonifolia ed il differenziarsi di alcuni neoendemismi faunistici come la lucertola Podarcis wagleriana marettimensis. Interessantissima è la geologia dell'isola costituita da una imponente successione sedimentaria calcarea del mesozoico con contatti stratigrafici e tettonici che contribuiscono alla comprensione delle vicissitudini geologiche di questa regione.

Bosco della Partecipanza (Trino - Piemonte)

Carpini e pervinca
A proposito di paesaggi scomparsi del passato, una delle evocazioni più ricorrenti in Pianura Padana è la presenza di un'antica foresta planiziaria che si ritiene sia rimasta intatta almeno fino ai primi secoli d.C.. La foresta è stata poi via via distrutta e sostituita da paesaggio agricolo, con accelerazioni e stasi, fino ai giorni nostri. Oltre al taglio del bosco l'uomo ha anche proceduto a canalizzare l'acqua eliminando vaste aree umide, acquitrinose e paludose, trasformando radicalmente il paesaggio.
Ristagni d'acqua piovana
Oggi di quella foresta si conservano sparuti frammenti, ancora fortemente sfruttati e modificati dall'uomo, che danno solo un'idea sbiadita dell'aspetto primigenio. La specie arborea caratterizzante ancora i boschi mesofili planiziari è la quercia farnia (Quercus robur). Pianta di grande sviluppo, capace di vivere anche in suoli paludosi e compatti, con una velocità di crescita iniziale sensibilmente superiore a quella delle altre querce europee di collina o di montagna, con una proverbiale longevità. Per avere un'idea, di cosa fosse la foresta planiziaria, è bene visitare uno dei suoi pochi lembi relitti, ad esempio il Bosco delle Sorti della Partecipanza a Trino, in provincia di Vercelli. Il bosco si è conservato anche grazie alle regole introdotte dal marchese del Monferrato per il prelievo della legna già nel 1202, ma le opere di drenaggio artificiale e il taglio periodico ne hanno semplificato il corteggio floristico e la fauna.
L'introduzione di specie nordamericane di crescita rapida come, la quercia rossa, Quercus rubra, e la Robinia pseudoacacia ne hanno alterano l'aspetto naturale. Il taglio periodico, ancora oggi praticato, seppur ben pianificato ai fini conservativi della risorsa (certificato FSC), impedisce tuttavia agli alberi di diventare vecchi e al legno morto di essere utilizzato, ad esempio, dall'entomofauna xilofaga.
Pulmonaria officinalis
Salix sp., amenti maschili
Il sottobosco è molto rado e disturbato costituito prevalentemente da piante erbacee. All'inizio di marzo fioriscono Scilla bifolia, Vinca minor, che forma tappeti sempreverdi, Ranunculus ficaria, Pulmonaria officinalis, Primula vulgaris, Viola riviniana, Viola hirta e Anemone nemorosa. Lo strato arboreo, oltre alle essenza già citate, presenta anche abbondante il Carpinus betulus e qualche ciliegio (Prunus avium). Ai margini del bosco e lungo le rogge (canali artificiali) si insedia il salice (Salix sp.). Il bosco è circondato da risaie. Vedi qui per altre informazioni. Per approfondire consigliamo di consultare in rete l'ottima guida sulla Foresta planiziaria della Pianura Padana della collana Quaderni Habitat.

Pian Marino - Finalborgo (Liguria)

Hepatica nobilis
All'inizio di marzo, all'ombra dei boschetti mediterranei, nelle piccole valli che separano le balze rocciose calcaree intorno al centro abitato di Finale Ligure (Savona), fiorisce una piccola anemone blu, l'Hepatica nobilis. Non è una rarità botanica, è presente in tutta Europa e nelle regioni italiane manca soltanto nelle isole. Il percorso del sentiero n 410 inizia dal Borgo di Finale, grazioso centro di origine medievale, non supera di molto la quota 300 m s. l. m. e la vegetazione arborea ed arbustiva che attraversa è marcatamente mediterranea e sempreverde, affine a quella della Corsica, con leccio, roverella, lentisco, ginestra, corbezzolo, erica e cistaceae. La mitezza del clima favorisce la fruizione turistica e sportiva anche nei mesi invernali e l'area è conosciuta in tutto il mondo per le vie di arrampicata sportiva. Le aree più antropizzate, in basso, sono terrazzate e coltivate ad ulivo, agrumi o rosacee da frutto. La coltivazione degli agrumi è favorita dall'abbondanza di corsi e sorgenti d'acqua delle valli liguri.
Rocche calcaree sopra Pian Marino
Interessante, per la storia naturale, è la cosiddetta Pietra di Finale, una successione di rocce carbonatiche depositatesi dall'Oligocene sup. al Miocene medio (20-10 milioni di anni fa), descritta dal geologo Issel, (1885,1886), come "una pila di grossi strati regolarissimi, adagiati sul dorso delle colline triassiche, con lieve inclinazione verso mezzogiorno". Issel spiega l'inclinazione verso sud con una maggiore velocità di sollevamento della parte settentrionale. La Pietra di Finale propriamente detta è una roccia calcarea prevalentemente bioclastica (formata da frammenti di gusci carbonatici di animali marini), depositatasi in ambiente neritico (mare poco profondo vicino alla costa) con una tipica cenosi fossile di "coralli e codiacee (alghe calcaree). Localmente l'associazione fossile cambia insieme all'aumentare della frazione terrigena del sedimento ed è sostituita da un’associazione a balanidibriozoi e molluschi. La componente terrigena aumenta per apporto di sedimenti portati in mare dai corsi d'acqua. La "Pietra di Finale" propriamente detta poggia su altre rocce carbonatiche terziarie depositatesi tra l'Oligocene sup ed il Miocene inf., rocce costituite da sabbie quarzose, conglomerati e brecce sterili e da depositi marnosi fossiliferi.
Nostra Signora di Loreto o
 dei cinque campanili
Per chi è interessato alla storia, oltre al Borgo di Finale o Finalborgo, il percorso raggiunge anche le Rocche difensive di Castel San Giovanni e Castel Govone e la piccola Chiesa di Nostra Signora di Loreto detta "dei cinque campanili".