Marettimo


Osservando le isole Egadi dalle cime dei rilievi dello Zingaro, provincia settentrionale di Trapani, si nota un certo allineamento tra il Monte Cofano, il monte Erice, in Sicilia, e le isole di Levanzo e Marettimo. Basterebbe che il livello del mare si abbassasse di un centinaio di metri per collegare in un unica catena le isole e i due monti. Marettimo sembra sia divenuta isola circa 600.000 anni fa, mentre Levanzo e Favignana dovrebbero averlo fatto molto dopo, nel 6.000 a.C. Nel paleolitico, un gruppo di uomini lasciò incisioni rupestri all'interno di una grotta alla base di un piccolo rilievo costiero. Quel rilievo soltanto dopo sarebbe diventato l'isola di Levanzo e la grotta avrebbe preso il nome di "Grotta del Genovese". Il livello del mare deve però aver raggiunto, nel Pleistocene, un livello maggiore dell'attuale. Lo testimoniano le calcareniti di Favignana, intensamente cavate in passato per ricavarne conci da costruzione, e i depositi costieri coevi che si ritrovano anche nelle altre isole dell'arcipelago oltre a qualche evidente solco del battente una decina di metri al di sopra dell'attuale livello del mare visibile sulle pareti a picco della costa occidentale di Marettimo. Interessante è la visita sporadica lungo le coste di Marettimo, della foca monaca, mammifero che potrebbe tornare a popolare l'arcipelago con una diversa gestione delle risorse del mare. Un ristretto, ma interessante contingente di flora endemica, caratterizza soprattutto l'isola di Marettimo. Il prolungato isolamento dalla Sicilia ha favorito il conservarsi di alcuni paleoendemismi botanici come il Bupleurum_dianthifolium e la Pseudoscabiosa limonifolia ed il differenziarsi di alcuni neoendemismi faunistici come la lucertola Podarcis wagleriana marettimensis. Interessantissima è la geologia dell'isola costituita da una imponente successione sedimentaria calcarea del mesozoico con contatti stratigrafici e tettonici che contribuiscono alla comprensione delle vicissitudini geologiche di questa regione.

Bosco della Partecipanza (Trino - Piemonte)

Carpini e pervinca
A proposito di paesaggi scomparsi del passato, una delle evocazioni più ricorrenti in Pianura Padana è la presenza di un'antica foresta planiziaria che si ritiene sia rimasta intatta almeno fino ai primi secoli d.C.. La foresta è stata poi via via distrutta e sostituita da paesaggio agricolo, con accelerazioni e stasi, fino ai giorni nostri. Oltre al taglio del bosco l'uomo ha anche proceduto a canalizzare l'acqua eliminando vaste aree umide, acquitrinose e paludose, trasformando radicalmente il paesaggio.
Ristagni d'acqua piovana
Oggi di quella foresta si conservano sparuti frammenti, ancora fortemente sfruttati e modificati dall'uomo, che danno solo un'idea sbiadita dell'aspetto primigenio. La specie arborea caratterizzante ancora i boschi mesofili planiziari è la quercia farnia (Quercus robur). Pianta di grande sviluppo, capace di vivere anche in suoli paludosi e compatti, con una velocità di crescita iniziale sensibilmente superiore a quella delle altre querce europee di collina o di montagna, con una proverbiale longevità. Per avere un'idea, di cosa fosse la foresta planiziaria, è bene visitare uno dei suoi pochi lembi relitti, ad esempio il Bosco delle Sorti della Partecipanza a Trino, in provincia di Vercelli. Il bosco si è conservato anche grazie alle regole introdotte dal marchese del Monferrato per il prelievo della legna già nel 1202, ma le opere di drenaggio artificiale e il taglio periodico ne hanno semplificato il corteggio floristico e la fauna.
L'introduzione di specie nordamericane di crescita rapida come, la quercia rossa, Quercus rubra, e la Robinia pseudoacacia ne hanno alterano l'aspetto naturale. Il taglio periodico, ancora oggi praticato, seppur ben pianificato ai fini conservativi della risorsa (certificato FSC), impedisce tuttavia agli alberi di diventare vecchi e al legno morto di essere utilizzato, ad esempio, dall'entomofauna xilofaga.
Pulmonaria officinalis
Salix sp., amenti maschili
Il sottobosco è molto rado e disturbato costituito prevalentemente da piante erbacee. All'inizio di marzo fioriscono Scilla bifolia, Vinca minor, che forma tappeti sempreverdi, Ranunculus ficaria, Pulmonaria officinalis, Primula vulgaris, Viola riviniana, Viola hirta e Anemone nemorosa. Lo strato arboreo, oltre alle essenza già citate, presenta anche abbondante il Carpinus betulus e qualche ciliegio (Prunus avium). Ai margini del bosco e lungo le rogge (canali artificiali) si insedia il salice (Salix sp.). Il bosco è circondato da risaie. Vedi qui per altre informazioni. Per approfondire consigliamo di consultare in rete l'ottima guida sulla Foresta planiziaria della Pianura Padana della collana Quaderni Habitat.

Pian Marino - Finalborgo (Liguria)

Hepatica nobilis
All'inizio di marzo, all'ombra dei boschetti mediterranei, nelle piccole valli che separano le balze rocciose calcaree intorno al centro abitato di Finale Ligure (Savona), fiorisce una piccola anemone blu, l'Hepatica nobilis. Non è una rarità botanica, è presente in tutta Europa e nelle regioni italiane manca soltanto nelle isole. Il percorso del sentiero n 410 inizia dal Borgo di Finale, grazioso centro di origine medievale, non supera di molto la quota 300 m s. l. m. e la vegetazione arborea ed arbustiva che attraversa è marcatamente mediterranea e sempreverde, affine a quella della Corsica, con leccio, roverella, lentisco, ginestra, corbezzolo, erica e cistaceae. La mitezza del clima favorisce la fruizione turistica e sportiva anche nei mesi invernali e l'area è conosciuta in tutto il mondo per le vie di arrampicata sportiva. Le aree più antropizzate, in basso, sono terrazzate e coltivate ad ulivo, agrumi o rosacee da frutto. La coltivazione degli agrumi è favorita dall'abbondanza di corsi e sorgenti d'acqua delle valli liguri.
Rocche calcaree sopra Pian Marino
Interessante, per la storia naturale, è la cosiddetta Pietra di Finale, una successione di rocce carbonatiche depositatesi dall'Oligocene sup. al Miocene medio (20-10 milioni di anni fa), descritta dal geologo Issel, (1885,1886), come "una pila di grossi strati regolarissimi, adagiati sul dorso delle colline triassiche, con lieve inclinazione verso mezzogiorno". Issel spiega l'inclinazione verso sud con una maggiore velocità di sollevamento della parte settentrionale. La Pietra di Finale propriamente detta è una roccia calcarea prevalentemente bioclastica (formata da frammenti di gusci carbonatici di animali marini), depositatasi in ambiente neritico (mare poco profondo vicino alla costa) con una tipica cenosi fossile di "coralli e codiacee (alghe calcaree). Localmente l'associazione fossile cambia insieme all'aumentare della frazione terrigena del sedimento ed è sostituita da un’associazione a balanidibriozoi e molluschi. La componente terrigena aumenta per apporto di sedimenti portati in mare dai corsi d'acqua. La "Pietra di Finale" propriamente detta poggia su altre rocce carbonatiche terziarie depositatesi tra l'Oligocene sup ed il Miocene inf., rocce costituite da sabbie quarzose, conglomerati e brecce sterili e da depositi marnosi fossiliferi.
Nostra Signora di Loreto o
 dei cinque campanili
Per chi è interessato alla storia, oltre al Borgo di Finale o Finalborgo, il percorso raggiunge anche le Rocche difensive di Castel San Giovanni e Castel Govone e la piccola Chiesa di Nostra Signora di Loreto detta "dei cinque campanili".