Il Cammino dei Sette Cieli

Il Cammino dei Sette Cieli è un percorso escursionistico ad anello che dall'abitato di Altofonte (Pa) raggiunge e percorre la cresta delle Punte della Moarda sui Monti di Palermo. Le sette punte rocciose di questa montagna calcarea sono tradizionalmente chiamate "cieli" e numerate dalla Punta Primo Cielo, prossima ad Altofonte, alla Punta Settimo Cielo, la più alta di tutte. E' uno dei più affascinanti e misteriosi rilievi tra quelli che coronano la Conca d'Oro, uno dei più umidi e boscosi. Il nome Moarda, di origine araba, significa, non a caso, "zampillante di acqua". Da almeno centocinquant'anni gli escursionisti di Palermo usano il nome "Punta Settimo Cielo" per indicare la più occidentale delle punte della Moarda, alta 1090 metri, ma questo toponimo non è riportato sulle carte dell'IGM. In una pubblicazione del Touring Club Italiano, la preziosa guida rossa del 1968, è citata anche la "Punta Terzo Cielo", con attribuizione contraddittoria del primato della quota.
Ad aumentare il fascino di questa montagna, oltre ai cieli numerati, è l'aspetto a luoghi fiabesco della porzione di altopiano carsico che si sviluppa a sud-est della cresta. Area boscosa dove la corrosione carsica ha formato labirinti di roccia, pinnacoli aguzzi, piccole grotte, anfratti ed angoli suggestivi. In una delle grotte alle pendici della Moarda sono state trovate terrecotte preistoriche
della Cultura del Vaso Campaniforme, o "bicchiere campaniforme, della tarda età del rame, 2600 - 1900 a.C. circa.
Per chi si lasciasse adesso prendere dalla bellezza del selvatico e dal mistero, potrebbe già abbandonare la via razionale e collegare tutto ad antichissime sapienze esoteriche. Quei cieli numerati, uniti alle altre caratteristiche appena descritte, offrono tutti gli ingredienti per riportare alla luce parte della cultura medievale europea o almeno l'astronomia di quel tempo: le sfere celesti di Aristotele e i nove cieli del paradiso di Dante.
In questo contesto la "terza punta" della Moarda sarebbe il "Terzo Cielo" nell'astronomia dantesca, quello attribuito a Venere e nel quale risiedono le anime di coloro che si dedicarono all'amore, e la Punta Settimo Cielo diventa il cielo di Saturno, dove per Dante si trovano le anime di coloro che si diedero alla vita contemplativa.
Guardandole dall'altopiano, a dirla tutta, le cime sono anche più di sette e non è tanto facile darne un numero preciso.
Si potrebbe  concludere qui con un unicuique suum, cioè a ciascuno il proprio cielo, ma a proposito di cieli medievali, in un suo recente libro, Carlo Rovelli, il fisico italiano che si occupa di Gravità Quantistica, fa notare quanto Dante Aligheri nel XXVII canto del Paradiso fosse inconsapevolmente vicino al modello di universo a tre-sfera associato alla teoria della relatività generale di Einstein.
Dante descrive infatti l'ultimo cielo del suo paradiso, il cielo più esterno, come quello che racchiude tutti gli altri, ma che contemporaneamente è racchiuso in essi. Appena finisce di percorrere il cielo più esterno del paradiso si ritrova, senza discontinuità, al punto di partenza. Questa soluzione gli permette di evitare di dover relazionare su un eventuale spazio oltre il bordo del paradiso, o peggio ancora, su un poco gestibile paradiso infinitamente esteso. Pare che questa idea sia stata suggerita a Dante dal suo maestro Brunetto Latini, il quale descriveva la superficie terrestre, sferica, come il luogo in cui un uomo, camminando sempre dritto davanti a se, prima o poi debba ripassare dal punto da cui è partito. Un uomo su una sfera può camminare sempre dritto e non incontra mai un confine che lo costringa a tornare sui suoi passi. Dante fa propria l'osservazione del suo maestro Latini e la applica al suo paradiso. Quando giunge al suo confine estremo, nel nono cielo, si ritrova di nuovo all'interno di tutti i cerchi interni che aveva già percorso, come al punto di partenza. Niente bordo, niente horror vacui, in una rassicurante continuità. Già nel VI secolo a.e.v, Archita, tarantino e filosofo pitagorico, si chiedeva che senso potesse avere una superficie di confine dell'universo nel momento in cui baserebbe allungare un braccio per oltrepassarla. Per contro la soluzione di un universo infinito pone problemi ancora più difficili da risolvere. L'infinito per i fisici rappresenta quasi sempre un errore. E' preferibile allora seguire Latini e Dante, rendendo più rigorosa la loro elegante soluzione e ottenere un universo finito, ma senza bordi. Stiamo parlando della soluzione contemporanea ad un enigma antico di secoli cioè la domanda se l'universo sia finito o infinito.
Per seguire il ragionamento dei fisici immaginiamo un universo piatto abitato da esseri bidimensionali. Questi esseri, camminando sempre dritto in un universo esteso infinitamente, non troverebbero mai un bordo, ma, come dicevamo, la soluzione con l'infinito non va bene ai fisici. Non va bene però neanche che l'universo abbia un bordo perchè resta il problema di capire cosa succede all'abitante dell'universo quando lo raggiunge e come concepire poi che possa esserci un "oltre" per l'universo che per definizione deve contenere tutto. Immaginiamo allora di avere non uno, ma due universi piatti, bidimensionali e finiti. Immaginiamo di incollarli tra loro per il bordo. In questa nuova stuazione otterremmo una superficie bidimensionale continua in cui gli esseri bidimensionali possono ancora andare sempre dritto in tutte le direzioni e pur abitando un universo che non è infinito, ma è una superficie chiusa, possono mantenere infinitamente qualsiasi direzione senza incontrare mai un bordo. Per semplificare geometricamente la situazione appena descritta assumiamo che l'universo bidimensionale sia la superficie di una sfera, una figura tridimensionale che ben conosciamo, ottenuta incollando tra loro due universi piatti lungo il bordo.
Fate caso al fatto che la sfera è una figura tridimensionale, ma l'universo che abbiamo appena costruito è bidimensionale per i suoi abitanti ed è limitato solo alla superficie di quella sfera. La parte abitata è solo la superficie della sfera, gli abitanti non sono in grado di accorgersi della forma complessiva, tridimensionale, del loro universo e immaginano di abitare un universo infinitamente esteso.
Estendendo ulteriormente il processo prendiamo adesso due sfere. Immaginiamo che queste sfere sono due universi tridimensionali non infiniti quindi dotati di bordo. Gli abitanti di questi universi vivono e possono muoversi nelle tre dimensioni. Se incolliamo le due sfere per il bordo, cioè tutta la siperficie esterna, otteniamo una 3-sfera. A noi, esseri tridimensionali, riesce difficile immaginare di incollare tra loro due sfere per il bordo, ma se noi abitassimo in quattro dimensioni ci renderemmo conto che l'operazione è possibile e neanche troppo complicata. La figura che otteniamo, la 3-sfera, è l'analogo della sfera che conosciamo noi, ma immersa in uno spazio quadridimensionale. Noi non riusciamo a visualizzare questa figura, è difficile per noi pensare di incollare due sfere per la superficie esterna, ma l'operazione è perfettamente possibile in matematica e il modello che ne risulta concorda con la nostra attuale esperienza dell'Universo e ci risolve molti altri problemi. Noi abitiamo la superficie tridimensionale di un universo quadridimensionale in cui muovendoci senpre dritto, in qualsiasi direzione non incontriamo mai un bordo, nonostante il nostro universo non sia infinito. L'universo è finito, ma senza bordi: una 3-sfera.
La tre-sfera è la soluzione ideale per l'universo relativistico, l'universo per come oggi lo concepiamo. Anche noi, come Dante e Brunetto, andando sempre dritto nello spazio dovremmo dunque ritrovarci al punto di partenza?
Tornando adesso alle Punte della Moarda, percorrendo il Cammino dei Sette Cieli, dall'abitato di Altofonte, giungiamo alla Punta Settimo Cielo. Continuando a seguire il sentiero senza tornare mai sui nostri passi, ci ritroviamo al punto di partenza, ma in questo caso è tutta un'altra questione...