Calcareniti mioceniche di Corleone


La cittadina di Corleone è racchiusa a sud e ad est da pareti verticali di roccia arenaria in strati sottili di colore bruno chiaro-giallastro, ben conosciute in letteratura geologica con il nome di calcareniti di Corleone. Il Torrente Corleone, attraversando le calcareniti, ha inciso una profonda forra a meandri che termina nella Cascata delle due Rocche con un salto di circa 10 metri. Le calcareniti di Corleone sono rocce sedimentarie del Miocene, (Burdigaliano, Langhiano, 20-13 milioni di anni fa) che presentano laminazione incrociata (indica sedimentazione in presenza di correnti), straterelli con abbondanti piccoli cristalli di glauconite e livelli fossiliferi di colore rosso vinaccia con ittiodontoliti (denti fossili di pesce). La glauconite è un fillosilicato di ferro e potassio del gruppo della mica, tenero, friabile, di colore verde glauco, che si accumula episodicamente in ambiente di piattaforma continentale in condizioni di bassa velocità di sedimentazione. La piattaforma continentale è la parte sommersa dei continenti, il fondale marino tra la linea di costa e la scarpata. Su di essa una buona percentuale dei granuli che costituiscono il sedimento sono di origine continentale, cioè ciottoli, sabbie o silt risultanti dallo smantellamento di rocce emerse, trasportate al mare dai fiumi. All'interno dell'arenaria rossastra, poco classata, con granuli spigolosi e matrice argillosa (microbreccia), è facile osservare piccoli denti di colore nero lucente, forma semisferica piatta o conica e 4-6 mm di diametro. Sono denti fossili di pesci che appartengono alla famiglia, ancora esistente nei nostri mari, degli Sparidi. Nell'animale vivente i denti sono riuniti in robuste placche masticatorie, utili a frantumare le conchiglie dei molluschi e l'esoscheletro dei crostacei (vedi qui qualche altra immagine). La specie Sparus cintus, Agassiz, è considerata l'antenata miocenica delle attuali orate, i suoi denti si trovano in abbondanza nei livelli fossiliferi delle calcareniti di Corleone.  Insieme ai denti di Sparidi si trovano anche denti più grandi di forma molto diversa: aguzzi, taglienti e dal margine spesso seghettato. Sono denti di pesci appartenenti al superordine dei Selachimorpha, cioè squali o pescecani. Nei mari del Miocene, a giudicare dal numero di denti fossili di questo gruppo e dal loro vasto areale, dovevano essere piuttosto numerosi. Alcune specie erano molto più grandi di quelle attualmente viventi.

Quercus coccifera L., 1793



Quercus coccifera L.
Alla base dei versanti settentrionali della Montagna d'Aspra e del Monte  Catalfano, facenti parte entrambi di un promontorio nei pressi di Bagheria in provincia di Palermo in Sicilia, troviamo un'interessante popolazione di querce dal portamento arbustivo. Cresce qui, infatti, una delle popolazioni siciliane di quercia spinosa, specie non molto diffusa e localizzata in ambienti collinari xerici. Il binomio latino che oggi è attribuito a tutte le popolazioni di quercia spinosa della Sicilia è Quercus coccifera L., mentre fino a poco tempo fa era in uso anche un secondo binomio: Quercus calliprinos Webb., quercia di Palestina, che separave le popolazioni meridionali per la loro più marcata tomentosità delle foglie e dei rami giovani. I popolamenti della costa nord-occidentale della Sicilia si presentano invece piuttosto glabre. Questa differenza oggi non è più considerata sufficienti per l'istituzione di una specie distinta e ci si limita a considerare la forma con maggiore tomentosità, un morfotipo particolarmente xerofilo dello stesso taxon (xerofilo=che predilige ambienti asciutti e caldi).

Il substrato su cui crescono le querce del promontorio del Catalfano è un pendio di sabbia silicea mista a terreno argilloso rossastro. Già in gennaio alcuni esemplari sono in fase vegetativa con produzione di nuovi rametti verde chiaro piuttosto glabri, e amenti. Contestualmente cadono al suolo le ultime ghiande mature che possono ancora approfittare della breve fase invernale in cui il terreno si mantiene umido. Nello stesso sito, tra gli arbusti, sono presenti anche il leccio (Quercus ilex), anche da rimboschimento forestale, il lentisco (Pistacia lentiscus), la Fillirea (Phillyrea latifolia) l'erica (Erica multiflora), il cisto (Cistus salvifolius), il camedrio (Teucrium fruticans), l'artemisia (Artemisia arborescens), l'alaterno (Rahmnus alaternus) e la ddisa (Ampelodesmos mauritanicus), il pino mediterraneo (Pinus halepensis), di rimboschimento forestale.

Sughereta di Niscemi

Sughereta di Niscemi
La sughereta di Niscemi è uno dei frammenti superstiti di un esteso querceto termofilo sempreverde dominato dalla quercia da sughero (Quercus suber). Fino alla metà dell'ottocento la sughereta occupava ancora estesamente le colline di arenaria tra Niscemi e Mazzarrone, nella porzione più occidentale dei Monti Iblei. A depauperare il bosco nel tempo, oltre al massiccio prelievo di legname dei secoli passati, è stato soprattutto il disboscamento completo di estese aree avvenuto a metà ottocento per ottenere nuove terre coltivabili. Ultima manomissione in ordine di tempo, che segue peraltro l'istituzione di una riserva naturale, è stata la concessione alla marina USA di installare alcune grandi antenne d'uso militare in una vasta radura recintata all'interno dell'area un tempo occupata dal bosco. Il suolo su cui si insedia quello che resta della sughereta è costituito da sabbie e depositi sabbioso calcarenitici del Selinuntiano (Pleistocene inferiore), di colore bruno-giallastro, con argille siltoso marnose grigio azzurre, silts argillosi e arenarie fossilifere. Passeggiando all'inizio di gennaio sull'altopiano di Niscemi, a margine delle aree di bosco e di macchia e a fianco del recinto militare, si trovano due piante fiorite di discreto interesse botanico che crescono entrambe su suolo compatto di argille sabbiose: la piccola aracea Ambrosinia bassii L., la cui infiorescenza è avvolta da una
Ambrosinia bassii L.
spata bruna a forma di babbuccia turca con la punta incurvata all'indietro, e una piccola liliaceaAllium  chamaemoly L., prostrata al suolo con, al centro di poche foglie nastriformi, un mazzetto di timidi fiorellini bianco-rosati. Sono entrambe geofite, piante dotate cioè di parti perenni sotterranee che consentono loro di superare indenni la lunga stagione secca.
Allium chamaemoly L.
Le aree della sughereta che conservano una discreta diversità vegetale, e più continua copertura arborea, sono i versanti più ripidi, che per questa caratteristica furono risparmiati dal disboscamento ottocentesco. In uno di questi versanti, tra altri grandi esemplari di sughera, cresce la ben nota sughera "mosaica", un grande albero di età stimata quattro o cinque secoli, divenuto simbolo della riserva naturale.