Dolina della Principessa (Madonie)

I Piani della Principessa sono una piatta e ampia dorsale costellata di doline tra le quote m 1900 e m 1700 s.l.m., che costituiscono la porzione più orientale dell'altopiano carsico del massiccio calcareo del Carbonara. La dorsale è sassosa e presenta bassa vegetazione erbacea annuale caratterizzata dal Basilisco (Cachrys ferulacea (L.)), ombrellifera aromatica molto nota perché ospite del pregiato fungo di Basilisco (Pleurotus nebrodensis (Inzenga) Quél). Le doline sono qui più o meno allineate in direttrici nord-sud, valli carsiche, che si presentano in genere coperte di faggeta. Uno dei luoghi più suggestivi dell'altopiano è la Dolina della Principessa, una delle più profonde, nota per la frequente possibilità di trovarci neve al fondo anche nel mese di agosto. La neve si accumula durante l'inverno, fin quasi a colmarne il dislivello, e si scioglie molto lentamente nei mesi primaverili ed estivi. Ogni anno nel mese di luglio la sezione di Polizzi Generosa del Club Alpino Italiano, vi organizza la festa della neve, escursione molto partecipata che dalla Battaglietta a quota 1600 raggiunge l'orlo della dolina, a quota m 1800 circa. La festa continua con la preparazione, a volte, di un pranzo grigliato, ma soprattutto con un dessert di granita al limone preparata con la neve della dolina. Sempre più spesso da queste parti è facile avvistare gruppi di cinghiali e di daini.

Farfalle delle Madonie

Parnassius apollo siciliae Oberthur, 1891
Le creste assolate delle Madonie sono in Giugno in piena fioritura. Soprattutto le asteraceae spinose dei generi Carduus e Centaurea, ma anche Sedum, Astragalus, Armeria, Scabiosa, ecc. E' il periodo migliore per l'osservazione dei lepidotteri d'alta quota. Molte specie sono facilmente osservabili, ma il taxon più citato in letteratura naturalistica è la sottospecie endemica Parnassius apollo siciliae. L'immagine a fianco è di un esemplare fotografato nel giugno 2013 sulle creste del Monte San Salvatore, rilievo di arenarie oligoceniche alto 1912 metri, ma è frequente anche sull'Altopiano del Carbonara. Questa farfalla non è rara nel suo areale, ma quest'ultimo è circoscritto e poco esteso, delimitato alle quote superiori ai 1500 metri. Il bruco si insedia su piante del genere Sedum. Il genere Parnassius comprede molte specie distribuite sulle montagne dell'intero emisfero boreale, la specie Parnassius apollo comprende numerose sottospecie (a questo collegamento alcune immagini).

Monte Pagano

Querceto di Monte Pagano
Il Monte Pagano è un rilievo arenaceo costiero alto 860 metri. Appartiene ad una delle lunghe dorsali laterali e settentrionali dei Monti Nebrodi, una delle tante, parallele tra loro, che caratterizzano il paesaggio di pascoli e boschi della porzione centro orientale della costa tirrenica siciliana. Il punto quotato più importante di questa dorsale è il Monte Trefinàidi (1166 metri) a nord del quale la dorsale, che parte da Pizzo Bidi (1595 m) sullo spartiacque dei Nebrodi, si sdoppia in due rami. Il ramo occidentale punta sull'abitato di Santo Stefano di Camastra, la città delle ceramiche, ed il suo punto quotato più noto è costituito dal Santuario della Santa Croce di S. Stefano (874 m), meglio noto con il soprannome devozionale di "Letto Santo". Il ramo orientale costeggia il Torrente Caronia e il suo punto quotato principale è il Monte Pagano. Il Pagano è ricoperto da un pressoché continuo querceto con alternanza di sughere e cerri (Q. suber e Q. gussonei), essenze distribuite diversamente in base all'esposizione e alla profondità del suolo. Il bosco è interrotto da poche radure erbose e fitti popolamenti di Erica arborea L. ed altri di biancospino (Crataegus monogyna Jacq.). I versanti orientali del Monte Pagano precipitano ripidamente sul torrente Caronia, circondato da uliveti con esemplari secolari. Gli strati di roccia che affiorano sono arenarie quarzose alternate ad argille che appartengono al Flysch Numidico (Oligocene sup. - Miocene inf.), descritti in letteratura geologica come "derivanti dalla deformazione del Bacino Numidico". Il Torrente Caronia forma un tratto di suggestive gole su un locale affioramento di roccia calcarea. Allo sbocco delle gole si trova l'ex mulino comunale, recentemente restaurato. Sempre sul torrente Caronia, poco più a valle, fu costruito in età imperiale il "ponte aureliano" oggi in parte diruto. Al di la del torrente, su una collina sul mare alta 302 metri, è costruito l'abitato di Caronia, considerata l'antica Calacte cui si attribuisce fondazione sicula.
Caronia con Salina sullo sfondo
In letteratura il toponimo "le Caronie" è quasi sinonimo di "Nebrodi", almeno per la porzione occidentale degli stessi. Lo stesso nome è usato anche per indicare il bosco, un tempo considerato il più esteso e continuo di Sicilia. Il bosco di Caronia è caratterizzato da sugherete che iniziano già in vicinanza del mare, che nella fascia collinare si alternano a cerrete e boschi di roverella (Q. pubescens l.s.). Su suolo calcareo compare anche il leccio (Q. ilex). Dalla quota 1400 metri circa i querceti cedono il passo al faggio (Fagus sylvatica) che occupa la dorsale dei Nebrodi accompagnandosi localmente ad altre essenze a volte rare per la sicilia come il tasso (Taxus baccata) e il frassino (Fraxinus excelsior). Alla fine dell'inverno sui pascoli e all'ombra degli alberi le prime fioriture sono l'azzurro della Viola alba Besser subsp. dehnhardtii (Ten.) W. Becker, il bruno dell' iridacea Hermodactylus tuberosus (L.) Mill., il bianco della Bellis annua L. e il giallo lucido del Ranunculus ficaria L.. Inizia a fiorire in bianco anche l'erica arborea.

Calcareniti mioceniche di Corleone


La cittadina di Corleone è racchiusa a sud e ad est da pareti verticali di roccia arenaria in strati sottili di colore bruno chiaro-giallastro, ben conosciute in letteratura geologica con il nome di calcareniti di Corleone. Il Torrente Corleone, attraversando le calcareniti, ha inciso una profonda forra a meandri che termina nella Cascata delle due Rocche con un salto di circa 10 metri. Le calcareniti di Corleone sono rocce sedimentarie del Miocene, (Burdigaliano, Langhiano, 20-13 milioni di anni fa) che presentano laminazione incrociata (indica sedimentazione in presenza di correnti), straterelli con abbondanti piccoli cristalli di glauconite e livelli fossiliferi di colore rosso vinaccia con ittiodontoliti (denti fossili di pesce). La glauconite è un fillosilicato di ferro e potassio del gruppo della mica, tenero, friabile, di colore verde glauco, che si accumula episodicamente in ambiente di piattaforma continentale in condizioni di bassa velocità di sedimentazione. La piattaforma continentale è la parte sommersa dei continenti, il fondale marino tra la linea di costa e la scarpata. Su di essa una buona percentuale dei granuli che costituiscono il sedimento sono di origine continentale, cioè ciottoli, sabbie o silt risultanti dallo smantellamento di rocce emerse, trasportate al mare dai fiumi. All'interno dell'arenaria rossastra, poco classata, con granuli spigolosi e matrice argillosa (microbreccia), è facile osservare piccoli denti di colore nero lucente, forma semisferica piatta o conica e 4-6 mm di diametro. Sono denti fossili di pesci che appartengono alla famiglia, ancora esistente nei nostri mari, degli Sparidi. Nell'animale vivente i denti sono riuniti in robuste placche masticatorie, utili a frantumare le conchiglie dei molluschi e l'esoscheletro dei crostacei (vedi qui qualche altra immagine). La specie Sparus cintus, Agassiz, è considerata l'antenata miocenica delle attuali orate, i suoi denti si trovano in abbondanza nei livelli fossiliferi delle calcareniti di Corleone.  Insieme ai denti di Sparidi si trovano anche denti più grandi di forma molto diversa: aguzzi, taglienti e dal margine spesso seghettato. Sono denti di pesci appartenenti al superordine dei Selachimorpha, cioè squali o pescecani. Nei mari del Miocene, a giudicare dal numero di denti fossili di questo gruppo e dal loro vasto areale, dovevano essere piuttosto numerosi. Alcune specie erano molto più grandi di quelle attualmente viventi.

Quercus coccifera L., 1793



Quercus coccifera L.
Alla base dei versanti settentrionali della Montagna d'Aspra e del Monte  Catalfano, facenti parte entrambi di un promontorio nei pressi di Bagheria in provincia di Palermo in Sicilia, troviamo un'interessante popolazione di querce dal portamento arbustivo. Cresce qui, infatti, una delle popolazioni siciliane di quercia spinosa, specie non molto diffusa e localizzata in ambienti collinari xerici. Il binomio latino che oggi è attribuito a tutte le popolazioni di quercia spinosa della Sicilia è Quercus coccifera L., mentre fino a poco tempo fa era in uso anche un secondo binomio: Quercus calliprinos Webb., quercia di Palestina, che separave le popolazioni meridionali per la loro più marcata tomentosità delle foglie e dei rami giovani. I popolamenti della costa nord-occidentale della Sicilia si presentano invece piuttosto glabre. Questa differenza oggi non è più considerata sufficienti per l'istituzione di una specie distinta e ci si limita a considerare la forma con maggiore tomentosità, un morfotipo particolarmente xerofilo dello stesso taxon (xerofilo=che predilige ambienti asciutti e caldi).

Il substrato su cui crescono le querce del promontorio del Catalfano è un pendio di sabbia silicea mista a terreno argilloso rossastro. Già in gennaio alcuni esemplari sono in fase vegetativa con produzione di nuovi rametti verde chiaro piuttosto glabri, e amenti. Contestualmente cadono al suolo le ultime ghiande mature che possono ancora approfittare della breve fase invernale in cui il terreno si mantiene umido. Nello stesso sito, tra gli arbusti, sono presenti anche il leccio (Quercus ilex), anche da rimboschimento forestale, il lentisco (Pistacia lentiscus), la Fillirea (Phillyrea latifolia) l'erica (Erica multiflora), il cisto (Cistus salvifolius), il camedrio (Teucrium fruticans), l'artemisia (Artemisia arborescens), l'alaterno (Rahmnus alaternus) e la ddisa (Ampelodesmos mauritanicus), il pino mediterraneo (Pinus halepensis), di rimboschimento forestale.

Sughereta di Niscemi

Sughereta di Niscemi
La sughereta di Niscemi è uno dei frammenti superstiti di un esteso querceto termofilo sempreverde dominato dalla quercia da sughero (Quercus suber). Fino alla metà dell'ottocento la sughereta occupava ancora estesamente le colline di arenaria tra Niscemi e Mazzarrone, nella porzione più occidentale dei Monti Iblei. A depauperare il bosco nel tempo, oltre al massiccio prelievo di legname dei secoli passati, è stato soprattutto il disboscamento completo di estese aree avvenuto a metà ottocento per ottenere nuove terre coltivabili. Ultima manomissione in ordine di tempo, che segue peraltro l'istituzione di una riserva naturale, è stata la concessione alla marina USA di installare alcune grandi antenne d'uso militare in una vasta radura recintata all'interno dell'area un tempo occupata dal bosco. Il suolo su cui si insedia quello che resta della sughereta è costituito da sabbie e depositi sabbioso calcarenitici del Selinuntiano (Pleistocene inferiore), di colore bruno-giallastro, con argille siltoso marnose grigio azzurre, silts argillosi e arenarie fossilifere. Passeggiando all'inizio di gennaio sull'altopiano di Niscemi, a margine delle aree di bosco e di macchia e a fianco del recinto militare, si trovano due piante fiorite di discreto interesse botanico che crescono entrambe su suolo compatto di argille sabbiose: la piccola aracea Ambrosinia bassii L., la cui infiorescenza è avvolta da una
Ambrosinia bassii L.
spata bruna a forma di babbuccia turca con la punta incurvata all'indietro, e una piccola liliaceaAllium  chamaemoly L., prostrata al suolo con, al centro di poche foglie nastriformi, un mazzetto di timidi fiorellini bianco-rosati. Sono entrambe geofite, piante dotate cioè di parti perenni sotterranee che consentono loro di superare indenni la lunga stagione secca.
Allium chamaemoly L.
Le aree della sughereta che conservano una discreta diversità vegetale, e più continua copertura arborea, sono i versanti più ripidi, che per questa caratteristica furono risparmiati dal disboscamento ottocentesco. In uno di questi versanti, tra altri grandi esemplari di sughera, cresce la ben nota sughera "mosaica", un grande albero di età stimata quattro o cinque secoli, divenuto simbolo della riserva naturale.