La Vedretta di Pizzo Scalino (Valmalenco)


Quando si va sulle Alpi da soli e il meteo è sfavorevole (era prevista pioggia nel pomeriggio) non si incontra nessuno e si sta molte ore con se stessi e con la montagna. Ogni tanto fischia una marmotta allarmata o si sente il verso di qualche ungulato distante. Emettono versi anche i corvidi che volano tra le creste e il ghiacciaio e in basso qualche piccolo uccello insettivoro. Anche la montagna si fa sentire attraverso il cupo rumore di frequenti slavine e frammenti di roccia che cadono nel vuoto dai nevai pensili in equilibrio precario intorno alle cime. Ad ogni passo, su percorsi innevati molto ripidi, si deve valutare bene come proseguire, riconoscendo le parti meno esposte e meno interessate dalle slavine. Si guarda anche l'evolversi delle nubi, nel caso dovesse essere necessario anticipare il rientro.

Impegnativo e appagante è scalare il pendio di neve con ramponi e piccozza, da Prabello al ghiacciaio dello Scalino (m 3050) passando dal punto di riferimento: "il cornetto". In discesa i tratti quasi verticali sono ancora più impressionanti: si procede con due piccozze legate all'imbracatura con un cordino e piantate alternatamente nella neve fino alla becca. Cadere qui significa scivolare pericolosamente per almeno un centinaio di metri tanto che all'ennesimo fischio della marmotta si finisce col rivolgerle la parola, perché forse è l'ultima volta che si potrà parlare a qualcuno. La si saluta cordialmente e le si dice ad alta voce: "ciao marmotta, chissà se riesco a tornare a casa anche stavolta...".

Più in basso, nel bosco di larici e pecci, si incontra uno scoiattolo autoctono dal pelo scuro e dai lunghi peli neri sulle orecchie. Risale un esile abete rosso che però non è abbastanza alto da farlo sentire al sicuro. Per allontanarsi ulteriormente dall'osservatore tenta un lungo salto su un larice più lontano. Per come urta la corteccia e prosegue il volo fino al suolo, si ha l'impressione che il salto sia stato troppo lungo per lui.

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