La Collina

 La collina

Al confine della terra dei suoi avi un contadino vede un uomo malmesso e assetato. Lo saluta, gli chiede se ha bisogno d'aiuto e lo fa entrare.

"D'unni arrivati vui?" gli chiede mentre gli versa un bicchiere d'acqua e gli offre una sedia di legno e paglia all'ombra d'un vecchio ulivo.

"Arristavu sulu io ra me famigghia" risponde, sugnu sopravvissuto".

Sembra ferito e dolorante ed è accolto come si accoglie uno che non ha più un posto dove tornare.

Qualche tempo dopo i due uomini fanno insieme un giro della terra del contadino e arrivano in cima ad una collina, il punto più alto della terra dei suoi avi, su cui cresce una grande e ombrosa quercia.

"Sutt'a st'arbulu si pigghiava u friscu e arripusava u patri i me nanno" spiega il contadino. E aggiunge che quell'albero è sempre esistito, è il cuore della loro terra, il simbolo del riposo e dei suoi antenati.

I due parlano si dividono la terra da lavorare: ciascuno dei due può prendere tanto quanto riesce a gestire e quanto gli necessiti.

"Quannu capita nni viremu cca supra all'arbulu" disse il contadino, e si separano.

L'accolto costruisce una capanna sul versante occidentale che poi trasformerà in casa di mattoni e inizia a lavorare la terra. Prima un piccolo orto vicino all'acqua, e ogni anno sempre di più, fino a non lasciare nulla di incolto. Non c'è più un arbusto selvatico, un'erba spontanea, un fiore di campo. Non ci sono più gli uccelli e i rettili di un tempo. Resta solo l'albero sulla collina dove ogni tanto il contadino continua a riposare, quasi sempre da solo.

L'accolto non riposa mai, lavora come se volesse sfamare il mondo intero, ma a parte quel poco che consuma per se, il resto lo trasforma in denaro e diventa ricco.

Dopo molto tempo si incontrano di nuovo in cima alla collina e l'accolto inizia senza preamboli:

"Avissimu a tagghiari l'arbulu frate, cca supra ci facemu vigna, putia pi vinniri l'ogghiu e u vinu, quattru casuzze pi furasteri, ...".

Il contadino sente un dolore al cuore all'idea di tagliare anche un solo ramo del simbolo dei suoi antenati e fa una contro proposta:

"Pigghiati mienza parti e facci chiddu ca voi, ma l'arbulu un lu tuccari".

L'accolto apre il cantiere in cima alla collina, taglia tre grossi rami e qualche annosa radice della grande quercia per fare spazio e costruisce un grande edificio.

Dopo il primo inverno però, mutilato di parte dei suoi rami, di alcune radici e chiuso est da un alto muro, l'albero non si risveglia.

Il contadino con le lacrime agli occhi decide che è troppo, va a trovare il suo ospite e gli dice:

"Ti'nn aviss'a ghiri fratello, i picciuli ti facisti, tanti picciuli ca ti po' accattari un paisi unni voi e pì fari sti picciuli facisti minnitta di sta terra chi ti fici ri matri. Vatinni"

A quelle parole, per la prima volta ostili, l'accolto reagsce d'impulso e uccide il contadino con un colpo di vanga.

Qualche decennio dopo uno dei nipoti del contadino torna da dove era emigrato il padre di suo padre per conoscere la terra dei suoi avi. L'intera terra è abbandonata, ci sono i ruderi di un grosso edificio sulla la sommità della collina. Neanche un albero di ulivo intorno è sopravvissuto. Tra i ruderi crescono varie piante selvatiche e tra queste si fa strada una quercia, giovane e vigorosa.

Nessun commento:

Posta un commento